“Coronavirus, ecco chi lo ha isolato: tutte donne del Sud, tra loro anche una giovane”. A fare scalpore, più che la notizia dell’isolamento in sé, è stata l’origine territoriale, generazionale e sessuale del team che a inizio febbraio ha individuato il virus che sta causando una vera e propria emergenza mondiale. Francesca Colavita fa parte del gruppo di ricercatori dello Spallanzani, ed è lei la giovane precaria (poi regolarizzata) che ha fatto decisamente più notizia. Riservata e subissata di lavoro in questo periodo particolarmente delicato, si è resa immediatamente disponibile ai nostri microfoni. “È un momento di lavoro molto intenso, tutto il laboratorio si sta facendo in quattro per gestire questa emergenza”.
Che importanza ha l’isolamento del coronavirus in questa emergenza sanitaria?
L’isolamento è un pezzo di un puzzle diagnostico. È il primo passo per capire meglio chi abbiamo di fronte: abbiamo il virus intero, in grado di replicarsi e che può essere utilizzato per studiarlo meglio e per sviluppare test diagnostici; possiamo capire i meccanismi di patogenesi e arrivare a misure terapeutiche e profilattiche. È uno step per andare avanti e proseguire nella gestione di questa infezione.
La ricerca è stata portata avanti da un gruppo di ricercatrici donne. È giusto che faccia scalpore? Cosa significa essere donna nel mondo della scienza?
Nel mio ambiente la presenza femminile è sempre stata predominante, per noi è la normalità. Si dice che la scienza sia donna, ed è strano che ancora faccia notizia.
Fino a poco tempo fa eri precaria, ma hai deciso di restare in Italia nonostante le difficoltà. Quanto è dolorosa la piaga del precariato per il nostro Paese e per il mondo della ricerca?
In Italia il precariato nella ricerca è un problema importante. La ricerca è tanto stimolante e bella quanto faticosa anche perché non ci sono i giusti investimenti. Ma ci tengo a sottolineare che sono stata fortunata nella mia vita professionale: sono giovane e mi sono sempre state date opportunità anche contrattuali che mi hanno permesso di lavorare con serenità. Voglio restare in Italia per un semplice motivo: amo quello che faccio e dove lo faccio.
Cosa ne pensi della gestione dell’emergenza Coronavirus in Italia?
Sono un biologo, lavoro in laboratorio, non credo di essere la persona giusta per giudicare questo aspetto, ma posso dire che sicuramente non è facile soprattutto visto il clima di panico che si sta creando in Italia, ma l’impegno che vedo intorno è davvero tanto anche da parte dei medici e delle istituzioni.