Se dovessimo nominare un elemento onnipresente nelle vite di adolescenti e neo adulti oltre all’acne e all’angoscia per il futuro, sarebbe il porno.
L’80% dei giovani in età compresa fra i 12 e i 25 anni sono fruitori di pornografia o abituali frequentatori di portali come Pornhub, che tutti conosciamo almeno per sentito dire. Ciò che invece potremmo non conoscere è il mondo sommerso che si cela dietro a un fenomeno socioculturale ormai sdoganato.
Andate su Google, e digitate nella barra di ricerca “abusi nel porno”. Piccolo spoiler: oltre ad alcuni pruriginosi articoli sulle confessioni di ex attrici, non troverete alcun titolone da prima pagina, nessuna indagine, nessun nome preciso, nessun processo, nessun colpevole. In effetti, nella percezione comune non esistono responsabili, perché quegli uomini e quelle donne scelgono volontariamente di esibirsi, talvolta con la stessa leggerezza con la quale uno studente fuorisede si ritrova a consegnare pizze a domicilio.
Tuttavia ci sono dei documentari che negli anni hanno indagato e mostrato al grande pubblico una realtà dei fatti decisamente diversa rispetto a quella che siamo abituati a vedere sui nostri schermi. Tra tutti spiccano due, diametralmente opposti per storia editoriale, finalità perseguite e accoglienza del pubblico. Confrontandoli si possono accendere i riflettori sull’evoluzione di un’industria milionaria e in continuo mutamento.
Il primo è A Shocking Truth, film della regista svedese Alexa Wolf uscito nel 2000, che si pone come un radicale atto di accusa nei confronti del lato carnefice della pornografia.
Il documentario si apre con il primo piano di una ragazza, che alla domanda “Di che cosa hai paura?” afferma “Di diventare un animale. Io non sono più un essere umano. Mi sento come un animale”. Altra inquadratura, altra attrice. Stesso interrogativo, stesso sguardo vacuo mentre risponde “Di diventare nulla. Ed in seguito meno di nulla”.
Animali, dunque. Piccoli, placidi animaletti da compagnia, che all’occorrenza possono diventare semplici pezzi di pelle. Peni, vagine, glutei o bocche. Niente di diverso da carne da macello.
I risultati di questa regia senza compromessi sono ancora oggi sotto gli occhi di tutti: a distanza di quasi vent’anni non è stato possibile trovare qualcuno intenzionato a distribuire, pubblicizzare o diffondere il prodotto, che oggi è disponibile in formato integrale solo su YouTube, ma senza sottotitoli completi in inglese, proprio per la mancanza di traduttori. Un silenzio inquietante è calato su quella scomoda, viscerale verità che nessuno vuole sentire, perché ci riguarda tutti, in misure diverse.
Ben diverso è stato invece il destino riservato a Hot Girls Wanted: facilmente reperibile su Netflix, questo secondo documentario del 2015 è incentrato sulle vicende di cinque ragazze appena maggiorenni che si spostano fra i vari set di Miami, dove vivono con il loro agente Riley.
Se in A Shocking Truth sono gli stessi registi a riferirci di vite spezzate da abusi e incesti, in Hot Girls Wanted assistiamo ai monologhi di Stella May che snocciola i suoi propositi per un brillante futuro da diva del porno come stesse leggendo la lista della spesa.
Il registro, l’ambientazione e il tono con cui il tema è affrontato si discostano di molto da quelli della pellicola svedese. Le ragazze si aggirano per una metropoli sfavillante, ostentando un potere d’acquisto e una indipendenza molto lontane da quelle della maggior parte dei loro coetanei, e sembrano perlopiù ignorare lietamente gli aspetti negativi della loro condizione.
Eppure la stessa scioccante verità raccontata anni prima da Alexa Wolf non sembra essere cambiata.
Mentre spiamo le protagoniste fare freestyle in giardino o dividere uno spinello, veniamo a sapere che un’attrice dura sul mercato al massimo uno o due anni, se riesce a sfondare. Che una delle ragazze ha praticato il “facial abuse” in un format incentrato sugli insulti alle donne ispaniche, senza prima essere informata su quello che avrebbe dovuto fare. Che video più cliccati sono quelli in cui l’uomo non indossa il preservativo.
“Sono un’idiota e mi servono 500 dollari, perciò mi farò questo estraneo con cui non avrei mai fatto sesso nella vita vera” dice ‘Ava’, poco dopo aver recitato nella parte della vergine indifesa con l’amico di famiglia che “pur non ricevendo un sì definitivo, se la porta a letto ugualmente”, per citare il regista.
Ancora una volta, a colpire più duro è il senso di straniamento in cui le donne sembrano intrappolate, senza peraltro aver mai maturato un’effettiva consapevolezza al riguardo: pornostar sullo schermo, normali studentesse fuori. “La gente pensa che noi siamo come nei porno, ma non è così”, dicono.
Pur senza la struggente narrazione di A Shocking Truth, Hot Girls Wanted mostra comunque delle ragazze che, più o meno scientemente, si sono addentrate in un mondo spesso difficile, violento e pieno di contraddizioni, a volte persino pericoloso per la loro salute psicologica e fisica.
Ciò nonostante, gli esiti dei due documentari sono stati del tutto differenti: nel primo caso l’omertà di questo business è giunta fino al negazionismo, mentre nel secondo veniamo informati dalle successive dichiarazioni dell’agente Riley su come, a seguito della pubblicazione, il numero di aspiranti performer che lo contattano per tentare una carriera nella pornografia è persino aumentato.
L’impressione che si ricava dalla visione cronologica delle due opere è quindi che nell’intervallo temporale che le separa, ad essersi normalizzato nell’immaginario comune non sia stato tanto il genere dell’intrattenimento per adulti (e nulla ci sarebbe di male in questo), quanto il vasto campionario di abusi, disagio e sofferenza che frequentemente si associa ad esso, quando sul set si spengono i riflettori. Un’impressione allarmante, una verità forse ancora più terribile e misconosciuta su di un mestiere che ad oggi rappresenta la principale fonte di piacere sessuale per una larga fetta della popolazione mondiale. Un mestiere basato sui corpi di altri esseri umani. E coi corpi, a chiunque essi appartengano, non si scherza.