È difficile spiegare a chi non ha mai compiuto un'esperienza del genere cosa significhi assistere ad una plenaria, suddivisa in varie sessioni, nella quale si ha davanti il mondo intero. Centinaia e centinaia di paesi riuniti a Roma dalla FAO (Organizazione delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura) e dall'IFAD (Fondo Internazionale per lo Sviluppo Agricolo) per una due giorni chiamata Consiglio dei Governatori nel corso della quale si è discusso davvero di questioni globali come la lotta alla fame e lo sviluppo sostenibile.
E ad essere protagonista non è stato un solo continente o il consueto Patto Atlantico, applicato, come spesso accade, a molteplici e dirimenti argomenti: ad essere protagonista, per una volta, è stato il mondo intero. Perché la realtà globale è ormai parte della nostra vita quotidiana, del nostro modo di essere, dei nostri orizzonti e delle nostre prospettive. E non può esistere alcun dibattito mondiale che non abbia al centro la salute e l'esistenza stessa di miliardi di persone, specie se si considera che l'Africa, nell'arco di tre decenni, incrementerà la propria popolazione fino a condurre il pianeta sull'orlo dei nove miliardi di abitanti, con conseguenze che nessuno di noi può permettersi di sottovalutare.
Non a caso, nella giornata di venerdì 15 è stato presentato ufficialmente un fondo internazionale (Fondo Agri-Business Capital) per favorire lo sviluppo agricolo nei paesi più poveri del continente africano: un fondo volto ad agevolare la crescita e lo sviluppo industriale legato al settore e a creare opportunità di innovazione e impiego laddove finora ha regnato unicamente la miseria.
Allo stesso modo, non è certo un caso se il giorno prima papa Francesco ha fatto sentire alta e forte la propria voce, parlando del cibo come di un diritto umano inalienabile e lanciando la sfida per un pianeta a misura d'uomo, dopo aver contribuito in maniera decisiva, con la Laudato si' del 2015, a porre al centro dell'agenda globale il tema del ribaltamento del modello di sviluppo su cui si è fondato l'Occidente negli ultimi tre decenni.
Osservavo le bandiere in quella sala immensa e vi confesso che l'Italia non l'ho trovata: non perché non ci fosse ma perché si perdeva nell'oceano di vessilli che sovrastavano la stanza. In quel momento, di fronte a quello spettacolo, con il mondo davanti, innumerevoli culture e molteplici occhi pronti a scrutarmi, ed io pronto a scrutare loro, nello scorrere di una giornata intensa e particolarissima, trovarsi in quel luogo ha assunto un significato diverso rispetto a ciò che avrei creduto di trovarvi all'inizio. Un così carico di storia e di valori, il sentirsi parte di un evento planetario e il fatto di avere la fortuna, da cronista, di poterlo raccontare in presa diretta, osservando sguardi, ascoltando molteplici riflessioni e riflettendo a mia volta su mondi così lontani dal nostro eppure riuniti in un magnifico incontro tra culture differenti, tutto ciò è stato un qualcosa che mi ha segnato profondamente. In quella sala, ho trovato infatti il senso del futuro, la ragione stessa del nostro impegno, politico e civile, in questo secolo, la chiave di lettura di un tempo assai difficile da comprendere e interpretare ma estremamente affascinante, al netto delle sue contraddizioni e dei suoi molteplici punti oscuri.
Il mondo era venuto da noi e noi lo avevamo accolto per dialogare insieme su come alleviare le sofferenze e ridurre le disuguaglianze che ci stanno conducendo al punto di non ritorno. L'Africa, come detto, era protagonista assoluta, persino nella scelta del cibo, ed era giusto così.
Non mi ero mai sentito tanto piccolo in un contesto tanto grande. Non avevo mai avvertito una sensazione di così grande fastidio per le noste meschine scaramucce quotidiane. Non mi ero mai reso conto di quanto poco contino, sulla scena globale, i temi su cui noi ci accapigliamo quotidianamente. È stata una presa di coscienza necessaria, una rivincita del buonsenso che mi sarà molto utile anche in futuro.