Com’è nata la passione per la musica e come ti sei scoperta autrice?
Avevo più o meno tre anni, i miei genitori mi avevano regalato questo piano di plastica giallo, dove iniziai a suonare tutte le sigle degli spot che sentivo in televisione. Da lì mi hanno regalato pianoforti sempre più grandi e ho iniziato a scrivere canzoni in maniera naturale, spontanea. Poi ho sempre avuto questo pallino di voler scrivere musica nella vita. Mi sono laureata in sociologia, dopodiché mi sono trovata pronta per partire: ho vinto Genova per Voi, un concorso della Universal, ho iniziato a lavorare come autrice. Mano a mano che sperimentavo sempre maggiormente la scrittura in tutte le sue forme, a un certo punto ho trovato una forma particolare che ho capito essere la mia. C’era una particolarità non solo linguistica, ma anche melodica, legata alla mia voce e in più, nei miei testi, sfogavo delle parti molto intime, molto personali: era la mia verità, dovevo essere io la portavoce di tutto questo.
La dicotomia “autrice/cantautrice” non dev’essere facile da gestire…
È perché ho due matrici dentro: quando scrivo per qualcun altro, scrivo con un determinato distacco rispetto alla verità di qualcun altro. Su di me è un lavoro quasi più artistico: ti sfoghi al 100%, in maniera più istintiva, dove racconto le parti più scomode, più sbagliate di me. Sono due cose entrambe molto belle, ma diverse.
Come nascono le tue canzoni “per Federica”?
Quelle per me nascono attraverso l’ispirazione, sono venute per caso, da un beat, da una cellula melodica, dalla necessità di dire qualcosa. Ho scritto delle canzoni per ispirazione, poi sicuramente verranno più avanti delle canzoni scritte in maniera più regolare perché avrò dei tempi stretti.
Da giovanissima quale sei qual è il consiglio che daresti a qualcuno che sta iniziando a trovare adesso la propria strada, magari proprio in musica?
Penso che nelle scuole si insegni ai ragazzi a sognare troppo poco: la cosa che mi ha colpito, da studentessa, è che si insegnano molto le nozioni, ma poco la passione, il sognare. Nelle scuole poi gli insegnanti spesso dimenticano di difendere gli anelli più deboli. Io ero un anello più debole: ero “fuori come un balcone”; avevo un’emotività particolare, ho vissuto momenti familiari delicati e venivo molto giudicata sia dalle mie “compagnucce” che dai professori. S’insegna ai ragazzini a essere estremamente competitivi, spietati tra di loro e s’insegna che se tu sei una persona sensibile, con delle fragilità, sei un perdente. Grazie alla mia sensibilità sto raggiungendo i miei obiettivi, anzi, mi ha aiutato. Uno dei motivi per cui scrivo le canzoni è per parlare con gli altri anche dei momenti più brutti, quelli in cui ci si sente più soli e uno dei momenti più complicati della mia vita è stato sicuramente l’adolescenza.