Da Genova a Qui
Rebis, artisti all’opera nel Mediterraneo, sui ponti che uniscono e che non distruggono
Redazione | 7 settembre 2017

Come sono nati i Rebis?

I Rebis sono nati dall’incontro tra Alessandra e Andrea. A me piace dire che Andrea è un artista delle mani: lui è un chitarrista, ma è anche un artigiano, produce gioielli, e ha questo approccio molto fisico anche alla chitarra, non solo sonoro. Io invece ho un approccio più intellettuale, onirico. Dalla praticità di Andrea e dal mio sognare è nato un bellissimo rapporto umano (siamo anche una coppia) e artistico. 

Siamo molto legati alla città dove siamo nati e cresciuti entrambi, poi i miei studi delle lingue araba e francese hanno fatto il resto, facendoci scrivere e comporre non solo in italiano.

 

C’è un eccesso di violenza al momento: come nascono le vostre canzoni, che funzionano un po’ da ponte interculturale, in un momento di difficili equilibri come il nostro?

Per me è importantissimo dare spazio alla bellezza, non solo estetica, ma alle belle storie: è in atto un processo in cui si dà molto spazio alla violenza, alla paura. Esistono, impossibile negarlo, ma si dà loro decisamente troppo spazio, a scapito delle belle esperienze che si possono fare nel mondo. Andare a cercare, incontrare, raccontare belle storie vuol dire dare spazio a storie di pace, a storie d’incontro, a storie di persone che cercano loro stesse. Dare spazio a qualcosa che trovo giusto, che trovo bello credo sia un mio piccolo contributo a creare delle realtà di bellezza, di uguaglianza, di diritto di raccontare delle storie che non vengono raccontate.

 

Ci parli un po’ di una canzone del disco a tuo piacimento? 

La seconda canzone dell’album s’intitola Je reviendrai en automne ed è ispirata (anche se non me ne sono resa conto subito) a una canzone di Barbara, grandissima artista francese, Dis, quand reviendras-tu? ed è una donna che promette di tornare ogni volta in una stagione diversa. Ascoltatela e vedrete che si tratta di un futuro indefinito, in un dialogo italiano/francese che spero possa farvi sentire sempre meno chiusi nei nostri confini linguistici e non solo! 

 

Il vostro rapporto con la Tunisia è molto forte: quale esperienza vi ha segnato di più?

In uno dei nostri viaggi in Tunisia siamo stati a inaugurare il festival internazionale d’arte femminista di Tunisi ed è stata un’esperienza incredibile. Vedere e conoscere donne divise da Stati nazionali fa rimettere in prospettiva molte cose: io posso andare quando voglio a trovare le mie amiche a Tunisi, per lottare e cercare di costruire insieme una realtà più giusta, ma non è proprio la stessa cosa. In molti casi questo mare ci divide invece di unire e in Cercami nel mare (tutta in arabo, dove parliamo di due sorelle separate dal mare) ne parliamo più approfonditamente, infatti è una canzone a cui tengo davvero molto.

 

Come mai la scelta di Qui come titolo del disco? 

Qui non è soltanto raccontare quel che c’è, ma costruire anche quello che vorresti che ci fosse: si parla molto di “relazione” in diverse sue sfaccettature, è anche un disco d’amore ma perché io credo (e non lo credo solo io!) che proprio partendo dalle relazioni intime che poi si cambia la società. Si parla tanto d’amore, visto come occasione per scoprirsi: la relazione con l’altro come occasione di crescere insieme, per superarsi e trovare qualcosa di nuovo dentro di sé e nell’altro.