Come è nata "L'italienne"? In generale qual' è il percorso di genesi delle sue canzoni?
É un inno d’amore di un italiano medio di oggi verso la sua patria, conteso tra voglia di abbandonare la terra che tanto critica e il desiderio di restarne attaccato. É nata guardando in faccia molti italiani che ho conosciuto all'estero, insieme alla voglia di omaggiare il cantautorato italiano, racchiudendo in un mash-up musicale e letterale, un simpatico viaggio metaforico.
Non vi é un percorso di genesi o un "La" embrionale quando scrivo un brano. Racconto musicalmente ciò che vivo, i posti in cui mi trovo, parlo delle persone che mi circondano e talvolta parlo anche di me, del mio passato e del mio presente. La partenza é quella di seguire il mio tratto distintivo.
Cosa vorrebbe che rimanesse a chi ascolta la sua musica, in particolare dopo l'ascolto del suo album?
Oggi è particolarmente difficile arrivare alla gente, a differenza dei cantautori di un tempo. Forse perché prima c'era più coinvolgimento, il pubblico era attento ai contenuti, invogliato a riflettere, c'era più dialogo, termine che oggi, purtroppo, viene sempre più estinto e scavalcato dalle cose futili che la tecnologia ci propone. Spero che il mio album, in qualche modo, riporti quel gusto di esplorare, di ritrovarsi in una strofa, di confrontarsi, di comunicare.
Una domanda che non le hanno mai fatto durante le interviste e a cui vorrebbe rispondere per parlare di qualcosa che le sta a cuore?
Sì, una domanda c'è: “Perché un'artista che produce la propria musica, viene considerato "artista minore" rispetto agli artisti prodotti (major/etichette)?”
La risposta mi starebbe tanto a cuore.