Canzoni solidali
Tutti abbiamo una terra promessa
Quando la musica si fa portavoce di messaggi universali: un brano di Numa e Phil Palmer per celebrare l’importanza dell’accoglienza e della pace fra i popoli. Perché certe parole non hanno età
La Redazione | 23 dicembre 2015

Come è nata l’idea di Promised Land? Oltre alla traduzione del brano in italiano, c’è anche l’invito a tradurla in altre lingue affinché diventi veramente internazionale... Numa: Phil mi ha detto di aver scritto, venticinque anni fa, un brano con Paul Bliss che si chiama The Promised Land, all’epoca cantato da Justin Hayward dei The Moody Blues, un’icona. Noi abbiamo pensato che potevamo far rinascere questo brano. 

Phil: Abbiamo registrato live in analogico, come si faceva in quegli anni; abbiamo dovuto riprendere tutte le informazioni in analogico da quel vecchio master con un lungo processo. In termini adottati dalla gastronomia possiamo dire che si è trattato di “ricucinare” le registrazioni, estraendo le informazioni e rendendole digitali. È complicato, ma possibile!

Numa: Abbiamo riarrangiato, riscritto, abbiamo chiamato alcuni musicisti (come, ad esempio, il grande Steve Ferrone) per rifare questo brano e abbiamo ridato vita a Promised Land con tutta la sua forza. Ci siamo accorti che il testo parlava dei rifugiati e delle persone che cercano di non perdere le loro speranze e la dignità di esistere: lo fa in una maniera così ampia, che può riguardare davvero ognuno di noi.

È quindi una canzone attualissima… Con gli ultimi episodi di terrorismo, adesso la paura ci ha ancora più stretto il cuore nei confronti di coloro che hanno una cultura diversa dalla nostra e che hanno purtroppo degli “infiltrati” portatori di morte. Una situazione difficilissima, ma che non può farci diventare pezzi di ghiaccio senza compassione: dobbiamo avere la forza e la capacità di discernere.

Tutti noi lottiamo per una seconda possibilità: non dobbiamo pensare che riguardi solo quelli che vivono laggiù. Tutti nella vita abbiamo sperimentato (o sperimenteremo) un momento in cui avremo bisogno una seconda possibilità e di un nuovo inizio. Ci sono tante storie che possono parlare della ricerca della terra promessa, in senso stretto e in senso figurato. Noi crediamo molto in questo messaggio: se cerchi una strada per riuscire a cambiare, stai automaticamente aprendo la strada della solidarietà! L’errore è chiudersi: non dobbiamo avere paura di non poter fare, l’importante è non tacere.

Nella presentazione del vostro progetto parlate della musica come esperanto: visti i grandi artisti che avete coinvolto, possiamo dire che la musica è il miglior veicolo per i messaggi - di solidarietà in questo caso specifico - visto che arriva dritta al cuore.  Sì, perché la musica è un fatto di responsabilità, è una scelta. La musica è molto potente, sta a noi poi scegliere come usarla. La musica può essere super politica, super faziosa, violenta o veicolo di messaggi pericolosissimi, sta a chi fa musica scegliere da che parte stare, quali messaggi veicolare. È l’intenzione che rende una cosa utopica o autentica, non le parole: è molto facile parlare di alcuni concetti, ma la differenza la fanno l’autenticità e la fede con cui ne parli.