Elettronica contaminata
Un trip di ritmo
Preparatevi ad un viaggio onirico e coinvolgente con “Jordan”, l’ultimo album di Capibara, ironico ed eclettico artista che ha appena vinto la targa PIMI come giovane rivelazione fra gli indipendenti
redazione | 6 novembre 2014
Come definiresti il tuo stile musicale?
Non credo di riuscire a dare un termine alla mia musica, forse la cosa che più ci si avvicina è afrobeat-pop-malinconico-coatto. È un genere?
Il titolo del tuo disco, Jordan, è il nome di una donna perfetta: sei lo stilnovista degli anni 2000?
Non sono mai stato uno dei migliori al liceo, ma lo Stilnovismo me lo ricordo e non credo di essere uno di loro! Io parlo della donna perfetta, ma non lo faccio in maniera buona. E poi la donna perfetta non esiste. Solo Alice Glass ci si avvicina molto, devo trovare modo di conoscerla!
Hai recentemente vinto la targa PIMI per gli artisti indipendenti: come hai vissuto questo riconoscimento?
È stato abbastanza inaspettato, vedendo soprattutto i precedenti vincitori: Colapesce, Erica Mou, I Cani, ecc... Quando me l’hanno annunciato ero a letto a dormire (sì era mezzogiorno, in realtà dovevo già stare in piedi) e me l’hanno dovuto ripetere un paio di volte prima che capissi la notizia.
Ci sono molte featuring nel tuo album: come sono nate?
In maniere differenti, in situazioni differenti e in modalità differenti. Ed è questo il bello delle featuring, gli approcci sempre nuovi e i risultati inaspettati su una tua traccia.
Le tue performance live sono molto coinvolgenti: come ti prepari?
Mi piace adattarmi al pubblico e non che il pubblico si adatti a me. Quindi preparo il live a seconda della situazione: se si fa in un club allora preparo un bel set ballabile e coinvolgente, se è un momento più di ascolto invece cerco di fare un qualcosa più soft, ma senza naturalmente scordare i ritmi e le percussioni.
È giusto definire alcuni tuoi pezzi onirici?
Assolutamente sì. Mi è piaciuto mettere in Jordan tutto ciò che mi ha formato musicalmente e mentalmente. Se alcuni pezzi sono molto “bass” e molto da dancefloor, altri invece sono più distesi e malinconici, a richiamare altri momenti della mia vita (un po' meno divertenti). E poi parliamone: D ci starebbe troppo bene in un film commedia-malinconico presentato al Sundance Festival.
Puoi svelare al pubblico perché ti chiami Capibara?
Perché è brutto, peloso e ha bisogno di affetto. Direi che è palese la somiglianza.
Quali i tuoi progetti futuri?
Per ora andarmene al Club To Club a Torino, rigorosamente come spettatore. Poi ho messo in giro la voce che a gennaio esce il mio nuovo EP, quindi sono fregato e mi tocca farlo davvero.
Non credo di riuscire a dare un termine alla mia musica, forse la cosa che più ci si avvicina è afrobeat-pop-malinconico-coatto. È un genere?
Il titolo del tuo disco, Jordan, è il nome di una donna perfetta: sei lo stilnovista degli anni 2000?
Non sono mai stato uno dei migliori al liceo, ma lo Stilnovismo me lo ricordo e non credo di essere uno di loro! Io parlo della donna perfetta, ma non lo faccio in maniera buona. E poi la donna perfetta non esiste. Solo Alice Glass ci si avvicina molto, devo trovare modo di conoscerla!
Hai recentemente vinto la targa PIMI per gli artisti indipendenti: come hai vissuto questo riconoscimento?
È stato abbastanza inaspettato, vedendo soprattutto i precedenti vincitori: Colapesce, Erica Mou, I Cani, ecc... Quando me l’hanno annunciato ero a letto a dormire (sì era mezzogiorno, in realtà dovevo già stare in piedi) e me l’hanno dovuto ripetere un paio di volte prima che capissi la notizia.
Ci sono molte featuring nel tuo album: come sono nate?
In maniere differenti, in situazioni differenti e in modalità differenti. Ed è questo il bello delle featuring, gli approcci sempre nuovi e i risultati inaspettati su una tua traccia.
Le tue performance live sono molto coinvolgenti: come ti prepari?
Mi piace adattarmi al pubblico e non che il pubblico si adatti a me. Quindi preparo il live a seconda della situazione: se si fa in un club allora preparo un bel set ballabile e coinvolgente, se è un momento più di ascolto invece cerco di fare un qualcosa più soft, ma senza naturalmente scordare i ritmi e le percussioni.
È giusto definire alcuni tuoi pezzi onirici?
Assolutamente sì. Mi è piaciuto mettere in Jordan tutto ciò che mi ha formato musicalmente e mentalmente. Se alcuni pezzi sono molto “bass” e molto da dancefloor, altri invece sono più distesi e malinconici, a richiamare altri momenti della mia vita (un po' meno divertenti). E poi parliamone: D ci starebbe troppo bene in un film commedia-malinconico presentato al Sundance Festival.
Puoi svelare al pubblico perché ti chiami Capibara?
Perché è brutto, peloso e ha bisogno di affetto. Direi che è palese la somiglianza.
Quali i tuoi progetti futuri?
Per ora andarmene al Club To Club a Torino, rigorosamente come spettatore. Poi ho messo in giro la voce che a gennaio esce il mio nuovo EP, quindi sono fregato e mi tocca farlo davvero.