Il rocker della speranza
Sogni in mondovisione
Dopo tre anni, Ligabue torna sul mercato con un album di inediti e, da giugno, con un tour negli stadi. Il disco punta dritto al cuore, tra indignazione e amarezza, ma con la volontà di cambiare
Lady Iron | 10 dicembre 2013
Com’è nato Mondovisione?
Siamo andati per tentativi e abbiamo capito che i risultati ottenuti live con Luciano Luisi, che si occupava di gestire il suono del gruppo, si potevano ottenere anche nel disco. Sono stato molto partecipe in ogni fase perché volevo che si potesse ascoltare il suono del gruppo attuale e, soprattutto, che si schivassero le insidie della produzione dei giorni d’oggi.
Quali sono?
Beh, con tutta la tecnologia di cui possiamo servirci c’è il rischio di strafare, andando così a perdere l’autenticità e quell’essere “diretti” che invece è stato lo scopo di tutto il lavoro di Mondovisione. Non è un caso se è l’album a cui ho lavorato più a lungo: abbiamo passato più di un anno a lavorarci e oggi posso dirmi soddisfatto del risultato.
Nell’album si nota anche una volontà di esporti maggiormente…
Sì, esatto. La situazione attuale è difficilmente sopportabile: senza mezzi termini, diciamo che non se ne può proprio più. In passato a volte sono stato volutamente vago, altre volte mi sono tenuto appositamente lontano dalla cronaca perché inevitabilmente invecchia le canzoni. Ma ci sono dei momenti in cui non ce l’ho fatta a non essere diretto: questo è uno di quelli.
Ti senti anche più diretto nel modo di comunicare?
Io di me ho sempre raccontato tutto, mi sono sempre esposto nella maniera più scarnificante possibile nei miei testi, penso che non sia un cambiamento recente!
La tua indignazione era più forte nel 1994, ai tempi di A che ora è la fine del mondo, oppure adesso?
Oggi provo molto più dolore rispetto ai tempi di A che ora è la fine del mondo, che era stata dettata dall’incredulità; non a caso infatti era una canzone spiccatamente ironica. Il sale della terra invece è drammatica, più dolorosa, tutt’altro che ironica.
A questo proposito: non pensi che ci voglia un po’ più di ottimismo, specie in momenti come questo?
Su questo argomento, con me, si sfonda una porta aperta: sono sempre stato accusato di essere “quello che predica speranza”. Nella canzone parlo di chi riesce a farsi vedere così brutto proprio quando ha a disposizione così tanto potere. Ricordiamo Andreotti per molti motivi, ma ora voglio ricordare una sua frase - o meglio, una frase che ha detto lui, ma che non era nemmeno sua - “Il potere logora chi non ce l’ha”. Per me non è una frase completa e corretta: dovrebbe essere “il potere logora”, a priori, perché chi ne è in possesso è costantemente terrorizzato all’idea di perderlo.
In Il muro del suono parli di “qualcuno che può rompere” questo muro: con quali mezzi credi sia possibile?
Si deve rompere! Il verbo “potere” deve in questo caso essere scardinato dal verbo “dovere”. Al momento vedo la vita vera sepolta da quintali di chiacchiericcio e pensieri inutili: c’è la necessità di aprire una breccia per ritrovare l’essenza. Forse sarà che comincio ad avere una certa età, ma anche in Sotto bombardamento raccontavo una cosa simile.
Questo “è tempo per noi”?
Oggi la velocità è troppo alta per far sedimentare tutte le (troppe!) notizie a cui siamo costantemente esposti. Fateci caso: ogni mezz’ora la prima pagina dei giornali online cambia. È come se ci fosse consentito di emozionarci per massimo cinque minuti a notizia e poi via, si cambia, dimenticandosi del resto. Penso che questi anni siano una sorta di laboratorio su cui si potrà far chiarezza tra non so quanto tempo, ma sono sicuro che questa non sia la velocità “giusta”.
Nell’ultima canzone dell’album, Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, quando dici che “sono sempre i sogni a fare la realtà” stai usando un ossimoro provocatorio o di speranza?
Per me si tratta di un ossimoro che non è un ossimoro: la nostra realtà è fatta di proiezioni, di visioni. Tutto quello che pensiamo di vedere nel mondo sono spesso nostre proiezioni: la nostra realtà è composta di visioni. Se siamo a questo punto della civiltà lo dobbiamo ai sogni e a chi ha sognato in grande, portando benefici a tutti, in un modo o nell’altro.
Siamo andati per tentativi e abbiamo capito che i risultati ottenuti live con Luciano Luisi, che si occupava di gestire il suono del gruppo, si potevano ottenere anche nel disco. Sono stato molto partecipe in ogni fase perché volevo che si potesse ascoltare il suono del gruppo attuale e, soprattutto, che si schivassero le insidie della produzione dei giorni d’oggi.
Quali sono?
Beh, con tutta la tecnologia di cui possiamo servirci c’è il rischio di strafare, andando così a perdere l’autenticità e quell’essere “diretti” che invece è stato lo scopo di tutto il lavoro di Mondovisione. Non è un caso se è l’album a cui ho lavorato più a lungo: abbiamo passato più di un anno a lavorarci e oggi posso dirmi soddisfatto del risultato.
Nell’album si nota anche una volontà di esporti maggiormente…
Sì, esatto. La situazione attuale è difficilmente sopportabile: senza mezzi termini, diciamo che non se ne può proprio più. In passato a volte sono stato volutamente vago, altre volte mi sono tenuto appositamente lontano dalla cronaca perché inevitabilmente invecchia le canzoni. Ma ci sono dei momenti in cui non ce l’ho fatta a non essere diretto: questo è uno di quelli.
Ti senti anche più diretto nel modo di comunicare?
Io di me ho sempre raccontato tutto, mi sono sempre esposto nella maniera più scarnificante possibile nei miei testi, penso che non sia un cambiamento recente!
La tua indignazione era più forte nel 1994, ai tempi di A che ora è la fine del mondo, oppure adesso?
Oggi provo molto più dolore rispetto ai tempi di A che ora è la fine del mondo, che era stata dettata dall’incredulità; non a caso infatti era una canzone spiccatamente ironica. Il sale della terra invece è drammatica, più dolorosa, tutt’altro che ironica.
A questo proposito: non pensi che ci voglia un po’ più di ottimismo, specie in momenti come questo?
Su questo argomento, con me, si sfonda una porta aperta: sono sempre stato accusato di essere “quello che predica speranza”. Nella canzone parlo di chi riesce a farsi vedere così brutto proprio quando ha a disposizione così tanto potere. Ricordiamo Andreotti per molti motivi, ma ora voglio ricordare una sua frase - o meglio, una frase che ha detto lui, ma che non era nemmeno sua - “Il potere logora chi non ce l’ha”. Per me non è una frase completa e corretta: dovrebbe essere “il potere logora”, a priori, perché chi ne è in possesso è costantemente terrorizzato all’idea di perderlo.
In Il muro del suono parli di “qualcuno che può rompere” questo muro: con quali mezzi credi sia possibile?
Si deve rompere! Il verbo “potere” deve in questo caso essere scardinato dal verbo “dovere”. Al momento vedo la vita vera sepolta da quintali di chiacchiericcio e pensieri inutili: c’è la necessità di aprire una breccia per ritrovare l’essenza. Forse sarà che comincio ad avere una certa età, ma anche in Sotto bombardamento raccontavo una cosa simile.
Questo “è tempo per noi”?
Oggi la velocità è troppo alta per far sedimentare tutte le (troppe!) notizie a cui siamo costantemente esposti. Fateci caso: ogni mezz’ora la prima pagina dei giornali online cambia. È come se ci fosse consentito di emozionarci per massimo cinque minuti a notizia e poi via, si cambia, dimenticandosi del resto. Penso che questi anni siano una sorta di laboratorio su cui si potrà far chiarezza tra non so quanto tempo, ma sono sicuro che questa non sia la velocità “giusta”.
Nell’ultima canzone dell’album, Sono sempre i sogni a dare forma al mondo, quando dici che “sono sempre i sogni a fare la realtà” stai usando un ossimoro provocatorio o di speranza?
Per me si tratta di un ossimoro che non è un ossimoro: la nostra realtà è fatta di proiezioni, di visioni. Tutto quello che pensiamo di vedere nel mondo sono spesso nostre proiezioni: la nostra realtà è composta di visioni. Se siamo a questo punto della civiltà lo dobbiamo ai sogni e a chi ha sognato in grande, portando benefici a tutti, in un modo o nell’altro.