Gunna ha cercato di smentire le voci circolate nei suoi confronti
Un patto con il diavolo più che con il procuratore, sembra quello fatto da Gunna. Da quando, con largo anticipo, è uscito di prigione l’anno scorso, le attenzioni rivolte nei suoi confronti sono sempre state impregnate di sdegnoso scetticismo per colpa di quell’enorme scritta sulla sua fronte comparsa subito dopo il patteggiamento, “snitch”. Nell’intervista a XXL uscita ieri, di cui costituisce la storia di punta del numero primaverile della rivista (con tanto di copertina dedicata), Sergio Giovanni Kitchens aka Gunna ha tentato di riabilitare il suo nome, cercando di convincere i lettori -e, indirettamente, i suoi colleghi- che si sia trattato tutto di un malinteso.
“Ho la netta sensazione che siano stati tutti fuorviati” ha affermato nell’intervista, “e, sai com’è, quando ti stanno ingannando, puoi scegliere di crederci oppure di prendere le tue decisioni. Ed è questo che ora è evidente. O ti sei lasciato sviare, o sei rimasto neutrale, hai pensato ‘Non so quali siano i loro affari o che cosa gli stia effettivamente accadendo'”. Poi ha aggiunto, riferendosi ai colleghi che l’hanno immediatamente etichettato come infame e hanno preso le distanze (tra cui Lil Durk, 21 Savage e Lil Baby): “Nessuno di questi rapper conosce il caso. Non sanno cosa sta succedendo a livello legale”.
Dopo aver discusso dell’idea che la scena si è fatta di lui, Gunna ha pensato all’immagine che vuole trasmettere ai suoi fan: “Sto bene o male solo cercando di ritornare nel mio spazio creativo e di essere il miglior artista che i miei fan conoscono”, dopodiché ha elogiato la sua fanbase e la dedizione che hanno dimostrato nonostante la questione RICO.
A sostegno delle parole di Gunna c’è il fatto che il suo nome non compare nella lista dei 200 testimoni da interrogare nell’ambito del processo RICO alla YSL. Proprio ieri ha testimoniato DK, uno dei fondatori dell’etichetta/gang (questo cerca di dimostrare l’accusa), il quale ha confermato l’interpretazione iniziale del nickname di Jeffrey Williams, Young Thug. Secondo il testimone, “thug” sarebbe l’acronimo di “Truly Humble Under God”, significato che smentirebbe l’ipotesi del procuratore per cui il nome stesso del rapper sarebbe una prova della natura criminale della sua etichetta.