Club Dogo, In che anno siamo?
Redazione | 13 luglio 2024

“Dopo 10 anni di fermo, i Club Dogo si immergono nei suoni nostalgici della vecchia scuola, riaffermando la propria identità senza timori. Lodare la coerenza o puntare il dito contro la mancanza di innovazione?”

 

Dopo una campagna marketing fondata sul “silenzio”, in gran parte autoalimentata dallo status dei suoi autori, “Club Dogo” è finalmente uscito; pronto a essere analizzato dai fan dei Dogo e non solo.

Fin dai primi secondi, il disco è inequivocabile: “le strade fanno il tifo, torno a grande richiesta perché il rap oggi fa schifo“, una dichiarazione di intenti che non lascia spazio a interpretazioni. La scena ha preso una brutta piega e c’è bisogno dei Club Dogo per ri-nobilitare un genere allo sbando.

Anche la produzione di Don Joe è profondamente radicata nella old school (giustamente), senza alcun tentativo da parte del trio di rinnovare la formula e portarla al passo coi tempi. È impossibile non tenere a mente che la “formula” è anche quella da cui tutti i rapper di seconda generazione hanno dovuto imparare per forza di cose; i Dogo ne sono ben consapevoli e non mancano mai di ricordarcelo.

Stiamo parlando, quindi, di un prodotto che si fregia di essere “vecchio“, di far ancora parte di quella corrente in cui il rap era genuino e nasceva dal sacro fuoco della vocazione piuttosto che dalla voglia di vedere crescere il conto in banca. Una produzione che guarda al passato con nostalgia e cerca di riportarlo al presente con tutte le sue forze, aggrappandosi al famoso discorso del “la musica di oggi fa schifo” di chi solitamente ha le orecchie incastrate nella macchia del tempo.

Quanto può avere senso un’operazione del genere nel 2024? Davvero, ripetendo all’infinito il concetto fondamentale di cui si è stati pionieri decine di anni prima, si dimostra di essere i migliori? Se i Led Zeppelin pubblicassero oggi un disco identico al loro primo lavoro, sarebbero ancora considerati il top della scena rock?

Questa non vuole essere una polemica, sia chiaro; si tratta piuttosto di una sincera riflessione sul significato della “supremazia” musicale (ma volendo anche in altri campi). Ci sono stati artisti della vecchia guardia che, dopo anni di inattività, sono tornati dimostrando la loro grandezza, prendendo la musica dell’epoca corrente e rimaneggiandola con la maestria di chi la materia non l’ha solo capita, ma l’ha codificata. Perché è vero: le polpette della nonna sono imbattibili. Ma la nonna, per imparare a farle in quel modo, ha sicuramente fatto sua una ricetta che ha avuto origini ben prima di lei.

Per adottare la sopracitata modalità nell’ambito musicale, i Club Dogo, per dimostrare davvero di essere ancora i migliori, avrebbero dovuto proporci un disco Gangsta Trap e far vedere a tutti quei ragazzini come bisogna fare per renderlo di qualità? Sarebbe stato fighissimo, ma no, non è questo il punto.

Un esempio recente è stato “CVLT” di Salmo e Noyz, un disco che, pur affondando le proprie radici nel rap di un’altra epoca, ha saputo suonare al passo coi tempi e rimaneggiare sapientemente alcune delle correnti che oggi troviamo ai vertici delle classifiche. Non sarebbe stato affatto male sentire un lavoro simile da parte dei Club Dogo, che invece hanno preferito rimarcare il loro status di “Maestri” proponendoci ancora una volta quello che li ha resi tali. Sfornando un buonissimo disco (in particolare un paio di tracce veramente notevoli) che però avevamo già sentito tutti quanti parecchi anni prima della sua uscita.

I Club Dogo sono vivi! Evviva i Club Dogo!