A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.
Si chiude così il più grande poema mai scritto nella storia umana. Se c’è una cosa che bisogna riconoscere al sistema scolastico italiano è lo studio dell’opera di Dante Alighieri: praticamente per tre anni si studia rap. Intendiamoci, non che si voglia ricondurre l’arte del Sommo Poeta alla poesia urbana, ma se si fa attenzione si notano moltissime analogie tra ciò che scriveva un uomo di mezz’età nel 1300 e quello che dice un ventenne di periferia oggi.
Innanzitutto, un secondo prima di scrivere le parole citate all’inizio, Dante racconta dettagliatamente il contenuto di una sua visione: dopo aver attraversato Inferno, Purgatorio e Paradiso, finalmente gli viene concesso l’immenso privilegio di immergersi nell’immagine di Dio. Il verbo è corretto, perché più che una visione, quella che sperimenta il poeta è un’esperienza extrasensoriale, in cui riconosce alcune immagini ma soprattutto una sensazione che lo attraversa completamente: vede tre cerchi colorati, poi il suo riflesso e infine è invaso da un sentimento di completezza infinita. Bene, non è il caso di ricercare il tipo di fungo che gli ha permesso di vedere tutto questo, ma almeno vi invito a ripensare alla convinzione che “l’Inferno è fighissimo, ma il Paradiso è inutile”. Tornando al rap, potete capire da soli quanta cultura hiphop ci sia nella descrizione di un viaggio del genere, specialmente per quanto riguarda le sperimentazioni trip hop o le atmosfere di singoli come L$D di A$AP Rocky.
Inoltre, il viaggio steso di Dante è un’ascesi, che parte da un momento buio della sua vita, rappresentato dalla selva oscura di pensieri in cui si è smarrito, per poi arrivare all’illuminazione e alla pace dopo un autentico viaggio di formazione in cui, attraverso le vicende dei dannati e dei beati, riflette sui propri errori e rinasce. Quasi tutti i rapper prima o poi pronunciano la frase “il rap mi ha salvato la vita” e non sono poche le volte in cui in un disco, specialmente se si tratta di quello d’esordio, viene sintetizzato un percorso simile a quello del poeta che, attraverso un viaggio come Dante-personaggio ma attraverso la scrittura come Dante-autore, compie una catarsi salvifica. Non solo, ma l’ascesi nel rap può anche essere interpretata come ascesi sociale che, dall’oscurità delle periferie, porta alla luce dei loft panoramici; anche i compagni cambiano, non sono più i dannati, il peggio dell’umanità, ma le celebrità semidivine del pantheon contemporaneo.
Se si pensa alla descrizione del mondo infernale, invece, si percepisce come alcune descrizioni dei gironi e dei loro guardiani siano in sintonia con la crudezza con cui viene descritta la giungla urbana e chi la custodisce, impedendo di accedere a certi luoghi e dispensando violenza gratuita ai suoi residenti. Ed è proprio descrivendo la popolazione dell’Inferno e le sue pene che Dante diventa ancora più rap. Al fondo del suo viaggio sotterraneo, arrivato al nucleo terrestre, il poeta si ritrova di fronte l’imponente e mostruoso corpo di Lucifero: è gigantesco, ha tre facce sulla stessa testa e tre bocche, con le quali divora i più grandi traditori di sempre: Bruto, Cassio e, al centro, Giuda. Questo è il trattamento che, per Dante, merita un infame: essere eternamente straziato dai denti di un mostro. Se non per altro, almeno nell’odio verso i traditori non si può dire che Dante non sia squisitamente hiphop.
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