Baby Gang, rimane in carcere e scrive una lettera al giudice
Redazione | 16 gennaio 2023
Baby Gang rimane in carcere e cambia linea difensiva, scrive una lettera ai giudici raccontando il suo vissuto e scusandosi per la prima volta…


Dopo essersi visto respingere dal gip Salvini la richiesta di arresti domiciliari, il 21enne Zaccaria Mouhib, in arte Baby Gang, ha deciso ora di cambiare strategia processuale e di affidare a una lettera il suo stato d’animo.




“Sono detenuto da tre mesi – scrive – e ho riflettuto parecchio sulla follia di quella notte. Ho avuto una reazione davvero esagerata perché ero completamente ubriaco”. Il giovane dice di sentirsi in colpa per quanto accaduto, “non ci sono giustificazioni per girare armato”, dice.

E’ la prima volta su questo punto che sembra ammettere la sua responsabilità visto che in passato la sua linea difensiva era stata di tutt’altro tono ( “La pistola mi serviva per difendermi. Volevano le mie collane d’oro”). Poi non nasconde tutta la sua preoccupazione per un futuro reso incerto dai guai giudiziari: “La musica è la mia àncora di salvezza, e oggi io ho davvero paura di perdere l’unica fortuna che ho avuto nella vita”.


Nella restante parte della lettera il trapper prima ricostruisce i fatti di quella notte di follia (“ Quando sono stato arrestato, ho letto nelle carte del processo cose non vere sul fatto che avrei programmato di aggredire quei ragazzi e che avrei voluto rapinarli… Dalle immagini si vede chiaramente che hanno iniziato loro”). Poi sembra voler ribadire alcune istanze difensive sostenute durante gli interrogatori che facevano riferimento al suo vissuto problematico a contatto fin dai giovanissimo con alcol e droga.




Ricorda infatti di avere cominciato a bere da ragazzino, di fumare hashish tutti i giorni, tutti elementi, questi, già emersi nella fase dell’indagine preliminare al punto che il suo avvocato aveva chiesto ai magistrati il suo trasferimento in una comunità terapeutica.



Ma quella richiesta era stata respinta dal giudice con motivazioni ‘severe’: l’uso di “cannabinoidi” nel suo caso – ha argomentato il magistrato – non è “qualificabile come dipendenza in senso stretto ma piuttosto espressione di uno stile di vita” comune “all’enorme maggioranza di coloro che fanno parte del mondo dei trapper o frequentano luoghi di incontro come corso Como” e allo stesso modo il “consumo di alcol”.