Caparezza, tra limbo e lettura
L’artista, alla presentazione del suo album, Exuvia, racconta il suo rapporto con la scuola e con la letteratura e come il COVID abbia influenzato il suo ultimo album
Gianni Bellu | 4 giugno 2021

In occasione dell’uscita del suo nuovo album, ho avuto l’onore di intervistare uno dei più grandi rapper italiani: Michele Salvemini, in arte Caparezza. Anche “dietro le quinte” si è confermato il genio sopra le righe che conosciamo sul palcoscenico. Anticonvenzionale, schivo e mai banale, ha risposto alle mie domande con la consueta spontaneità che ritroviamo nei suoi immortali testi.

 

Oggi, nella scuola del 2021, che si sta cercando di innovare, è possibile inserire anche i suoi testi come strumento pedagogico e didattico?

La domanda è se trovo giusto dare un senso letterario anche all’esercizio della scrittura della canzone? Dipende. Io, stranamente, tenderei a insegnare i padri della letteratura italiana in maniera classica. Da questo punto di vista sono abbastanza conservatore: la scuola deve dare le basi, basi che sono fondamentali per me e che io ho dovuto recuperare in un secondo momento. Mi sono appassionato a figure come Dino Campana, come Kafka, solo in seguito alla conclusione del mio percorso scolastico. In quegli anni non avevo mica capito quale mondo bellissimo si celasse dietro questi artisti, che, molto spesso, hanno iniziato a comporre i loro capolavori imperituri in giovanissima età. Basti pensare che Flaubert ha scritto Memorie di un pazzo quando aveva solo 16 anni. Questo fatto ci deve far riflettere perché in un periodo in cui non c’erano i social, a una tenerissima età, i giovani avevano già una proprietà di linguaggio incredibile. Dobbiamo riflettere sul fatto che ogni opera del passato ha tanto da insegnarci; possiamo sì integrare ma in un secondo momento. Tenderei a privilegiare i padri della letteratura, poi pensiamo ai cantanti!

 

Crede nel valore non solo sociale, ma anche paideutico che si nasconde dietro il testo di una canzone?

È una domanda davvero difficile. La realtà è che la musica può avere un ruolo sociale nel mondo ma quasi mai lo ha veramente avuto. Anche quando è sembrato possibile, non è stato così. Forse l’unica volta in cui è successo veramente è stato con l’impegno di John Lennon contro la guerra in Vietnam. In quel caso, è nato un movimento basato proprio sulla canzone, che era diventato un problema complesso anche da gestire a livello politico.

 

Il precedente album PRISONER arrivava dopo una sua personale e profondissima sofferenza, mentre questo dopo una sofferenza collettiva, che ha stravolto gli equilibri di tutti.

Il Covid non è entrato pienamente in questo disco o, a onor del vero, l’ha fatto solo in minima parte. Ho iniziato a comporre quest’ultimo album già nel 2018, non appena ho terminato l'ultima data del tour di Prisoner. Ero già nel limbo e l'evento Covid ha soltanto dato nuovi spazi a questo limbo. La mia condizione mentale era già più o meno così! Certamente nella vita accadono cose che possono sconvolgere te o il mondo circostante e questo è anche uno dei temi di questo disco. Ci sono canzoni dove io racconto non solo il mio cambiamento, ma il mutamento intorno a me. Negli anni cambiano i punti di riferimento (oltre che politico-sociali) anche musicali, cambia continuamente tutto. Ti sembra, perciò, sempre di stare scomodo, di non riuscire a trovare pace.