La storia del Jazz
Dagli anni Venti ai nostri giorni, ecco l'evoluzione del genere dell'improvvisazione per eccellenza
Maria Vittoria Falco | 7 maggio 2021

Il Jazz è un genere musicale nato negli USA all’inizio del ventesimo secolo, frutto di un lungo processo di sintesi tra forme musicali occidentali e africane, che risalivano alla memoria culturale degli schiavi deportati nel continente americano fra il sedicesimo e il dicannovesimo secolo, successivamente liberati. La storiografia jazzistica colloca la nascita del jazz a New Orleans. In realtà i presupposti musicali del jazz andarono formandosi più o meno contemporaneamente in vari centri degli Stati Uniti, con caratteristiche locali prima di amalgamarsi in un linguaggio comune. Fin dall’inizio il jazz si rese riconoscibile più per le sue caratteristiche espressive che per le strutture formali, che furono – e continuano a essere – comuni anche ad altre musiche, in una unione tra i vari patrimoni musicali popolari nella quale il jazz si rinnova costantemente lo rinnovano.

Le origini

Il primo stile del jazz è detto New Orleans dalla città della Louisiana dove si sviluppò anche in piccoli complessi, chiamati ragtime bands, formati da tre strumenti solistici (tromba o cornetta, trombone, clarinetto) e da una sezione ritmica composta da batteria (o meglio da un insieme di strumenti a percussione, suonati da un unico strumentista), tuba (gradualmente sostituita dal contrabbasso, prima ad arco e poi a pizzico) e banjo, spesso sostituito dalla chitarra o dal pianoforte. Il repertorio, fondato su blues e spiritual, si andò arricchendo anche di adattamenti strumentali di canzoni in voga, era strumentato in maniera estemporanea con effetti polifonici affidando l’esposizione del tema, sempre più o meno parafrasato, alla tromba, e i contrappunti improvvisati al clarino e al trombone. La chiusura dei locali notturni di Storyville (1917), il quartiere dei divertimenti di New Orleans, con la conseguente disoccupazione dei jazzisti locali, provocò una migrazione verso Chicago, dove si venne a creare un nuovo stile, ma basato sull’improvvisazione di un solo strumento. 

L'ascesa del solista

Il primo grande solista di tromba fu Louis Armstrong: con lui l’ideale collettivo dell’interpretazione jazzistica trova la sua prima evoluzione fortemente individualizzata. Al linguaggio trombettistico stabilito da Armstrong, e a quello pianistico del suo partner Earl Hines, fece riscontro la prima codificazione del linguaggio sassofonistico, svincolatosi dal modello clarinettistico: ne furono fautori Coleman Hawkins per il sax tenore, Sidney Bechet per il sax soprano, Benny Carter per il sax contralto. L’ascesa del solista quale figura chiave dell’interpretazione jazzistica trova spazio anche nelle grandi orchestre, caratterizzate da tre sezioni di fiati (ance, trombe, tromboni) più sezione ritmica, dove si sviluppa una dialettica tra scrittura e improvvisazione destinata a diventare un’altra caratteristica saliente e duratura del jazz.

La migrazione verso New York

Fletcher Henderson è il primo caporchestra a sancire l’evoluzione dal jazz tradizionale alla cosiddetta era dello swing, dove il termine swing indica un intero stile, prevalentemente orchestrale, formatosi per  una seconda migrazione dei jazzisti, stavolta verso New York, in seguito alla crisi economica del 1929; per la maggiore richiesta di intrattenimento musicale derivante dal proliferare degli speakeasies, i locali dove si servivano alcolici di contrabbando durante il proibizionismo (revocato nel 1933); per l’euforia economica e sociale conseguente al superamento della crisi, in una spinta verso i consumi e il divertimento di massa che trasformò il jazz in musica da ballo; infine per la diffusione del jazz attraverso il mezzo radiofonico. Figura dominante del periodo fu Benny Goodman. Tra le big bands degli anni 1930 trovarono successo alcuni caporchestra già attivi dagli anni 1920 e destinati a far scuola per decenni come Duke Ellington. A New York ulteriori strumenti definirono il proprio linguaggio solistico: il trombone già nei tardi anni 1920 con John Harrison, il sax baritono con Harvey Carney, poi, nel corso degli anni 1930, il vibrafono con Red Norvo e Lionel Hampton, mentre anche dalla sezione ritmica emersero i primi grandi solisti: Zutty Singleton e Gene Krupa per la batteria, Jimmy Blanton per il contrabbasso, Charlie Christian, preceduto dall’italoamericano Eddie Lang e in Europa da Django Reinhardt per la chitarra.

Dal be-bop ad oggi

Il be-bop dà inizio al jazz. moderno, in una sorta di reazione alla commercialità e alla danzabilità dello swing. Vera e propria avanguardia creativa, inizialmente avversata dal pubblico e da buona parte della critica, il be-bop trasformò il jazz da musica di consumo (pur non priva di autentici capolavori e di grandi musicisti) a musica «d’arte», cioè destinata all’ascolto e rivolta a una ricerca linguistica. Difficile trovare un denominatore comune per tutte le tendenze in atto tra fine del 20° e inizio del 21° secolo: in molti casi il jazz è diventato il luogo di incontro tra differenti generi musicali o tra tradizioni di paesi lontani; inoltre, si è prodotto uno spostamento del centro di interesse, per cui le novità non giungono solo dagli USA. In Europa si è sviluppata l’idea di improvvisazione radicale nata in seno al free jazz; in Italia si sono affermate personalità dallo stile ricco di lirismo e di espressività come il trombettista Enrico Rava ed il sassofonista Gianluigi Trovesi che hanno saputo rielaborare in modo originale la tradizione popolare italiana.